Programma
I madrigali di VINCENZO GALILEI (c.1520-1591)
Dolcissimo riposo
Donna gentil
O fortunato Amore
Cantan fra i rami
Alcun non può saper
La pastorella
Poi che ‘l mio largo pianto
Occhi miei che vedesti
Esecutori
Concerto Vocale La Stagione Armonica
Sergio Balestracci, direttore
Katia Piazza
Silvia Toffano
Viviana Giorgi
Marina Meo
Andrea Orlando
Stefano Palese
Alessandro Magagnin
Alessandro Pitteri
La figura di Vincenzo Galilei occupa un posto fondamentale nella storia della musica: quello del rinnovamento della pratica con il passaggio dalla polifonia alla monodia accompagnata. Nato vicino a Firenze verso il 1520, il padre di Galileo è soprattutto ricordato come teorico della Camerata fiorentina, nonché come liutista. Il ritorno alla purezza del cantare a voce sola era sostenuto negli ambienti umanistici come riscoperta della musica degli antichi greci; sotto questo aspetto fondamentale fu la pubblicazione del suo Dialogo della musica antica et della moderna a Firenze nel 1581, in cui viene affermato il valore della parola nella melodia a solo e viene sviluppata la teoria degli accordi, con un nuovo interesse per la dimensione armonica. L’altro importante trattato è Il Fronimo, Dialogo nel quale si contengono le vere et necessarie regole del intavolare la musica nel liuto (Venezia, 1568) in cui, accanto alle composizioni per liuto, figurano madrigali intavolati per questo strumento, con particolare predilezione per quelli di Cipriano de Rore. Minore attenzione è stata stranamente tributata alla produzione madrigalistica di quest’autore, soprattutto da parte dei moderni interpreti della musica antica storicamente informati. Dei due libri di madrigali, solo il secondo è giunto fino a noi. Del Primo libro de madrigali a quattro et cinque voci, pubblicato a Venezia da Angelo Gardano nel 1574 ci rimane infatti la sola voce di tenore al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, mentre è possibile ricostruire il Secondo libro de madrigali a quattro et cinque voci pubblicato sempre da Angelo Gardano a Venezia nel 1587 poiché ne sono conservate due copie, una, mancante del Quintus, alla Biblioteca e Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze, e l’altra, completa, alla Biblioteca dell’Accademia Nauk di Danzica. In questa raccolta, che comprende anche due mottetti, alcuni madrigali fortemente omoritmici testimoniano l’interesse dell’autore per la melodia armonizzata, mentre altri, più legati all’antica pratica polifonica sono quasi una dimostrazione dell’abilità contrappuntistica dell’autore, al di là delle nuove sperimentazioni sul “recitar cantando”. In questi utlimi Galilei dà prova di grande sapienza nell’uso del contrappunto e nella capacità di piegarlo all’espressione del testo; frequenti sono i cromatismi e un uso più libero delle dissonanze che sembra preludere al nuovo clima seicentesco dello “stile moderno”. Come si legge nella dedica questi madrigali dovevano essere al centro dell’intrattenimento colto delle case patrizie alla metà del cinquecento, come in questo caso a Siena, in cui i componenti della famiglia e i loro invitati erano al tempo stesso esecutori e fruitori. E il riferimento a Siena, certo non unico ambiente di colti passatempi, evoca le Veglie di Orazio Vecchi, pubblicate pochi anni dopo.
Sergio Balestracci